Possiamo colmare l’assenza di discussioni usando la rete?


2 Dicembre, 2011 by fiorella

Commentando  “il caso Milano”, cioè le tensioni nella Giunta tra il sindaco Giuliano Pisapia e l’assessore Stefano Boeri, martedì 29 novembre 2011 “La Stampa” pubblica un contributo dal titolo “Il vero problema è l’assenza di discussioni” in cui di Marco Belpoliti scrive (le sottolineature in grassetto sono mie): “La novità di cui Pisapia è stato portatore sei mesi fa è proprio questa: la trasparenza, la discussione, i social network.” E aggiunge: “Il vero problema è che oggi le città non possono più essere amministrate con la visione del pater familias, come avveniva in passato. La democrazia partecipativa, i blog, i siti web, facebook, Twitter, impongono che le scelte siano passate al vaglio di ampie discussioni, in Rete e non solo lì. La novità della primavera è questa. Perciò il problema non è Pisapia piuttosto che Boeri, o viceversa, ma come e dove discutere delle prospettive della città fuori dalle stanze di Palazzo Marino. [] Ma ora noi siamo entrati nella Terza [Repubblica], e questa non sopporta più che le scelte non siano condivise, disputate, a volte anche duramente, esposte in bella vista“. E conclude: ” Milano per prima oggi in Italia può indicare la soluzione possibile per usare in modo attivo quella che James Surowiecki ha definito <la saggezza della folla>, ovvero di tutti noi”.

Mi scuso della lunga citazione, ma era necessaria perchè illustra perfettamente da dove passa la sfida milanese: dalla capacità di usare la rete non solo per promuovere un candidato come è stato fatto in campagna elettorale, non solo per informare i cittadini, con conferenze e comunicati stampa distribuiti sui soliti canali, e pubblicati su un sito web, magari con un video, a cui si aggiunge qualche intervista su qualche media locale e non.  La rete va usata per comunicare con i cittadini, e comunicare significa “mettere in comune”, condividere, discutere anche animatamente, ma nel rispetto reciproco. I problemi sono iniziati quando la nuova Giunta non ha discusso con la città la drammatica situazione di bilancio, e le scelte che avrebbe comportato, tra cui le più importanti: aumento del biglietto del tram e scelte su EXPO. Le conferenze stampa non sono (state) sufficienti per far capire la gravità della situazione e allineare le aspettative dei cittadini e degli elettori di Pisapia alla realtà.

Ma non è banale usare la rete per comunicare con i cittadini, con un dialogo e dibattito anche serrato, ma civile, produttivo e democratico. Blog, siti web  e social network, così come realizzati oggi, non sono in grado di svolgere questa funzione per il modo con cui sono progettati. In genere informano, al più permettono qualche commento (che di solito non arriva; e infatti si parla della sindrome da “zero comments”), ma non favoriscono il dialogo.

Chi ha esperienza della rete sa che non è facile condurre online un dibattito serrato e democratico: è un equilibrio delicato tra dar voce a tutti ed evitare che ci sia chi, più o meno deliberatamente, distrugge il dialogo, intervenendo troppo spesso o offendendo le altrui opinioni. Bisogna procedere a piccoli passi, magari a partire dalla raccolta e confronto di idee e proposte (1). Fino a far emergere una proposta condivisa, o almeno ad identificare le posizioni contrapposte che esistono. E se sulla rete si vuole arrivare a deliberare, cioè prendere decisioni attraverso il dibattito (come suggerisce Belpoliti) è necessario trovare forme e modi affinché la maggioranza, se c’è, possa appunto decidere, lasciando alla minoranza la possibilità di espressione. Rispetto al mondo fisico, il vantaggio è che i limiti di tempo si dilatano (la ‘riunione’  non deve durare solo due ore); scrivere un intervento costa più tempo che farlo a voce, ma permette di meditarlo di più. Ma lo “svantaggio” (per i politici) è che “verba volant, scripta manent”, ed il digitale è tutto permanente, ritrovabile e quindi più impegnativo.

Questa è la ragione profonda per cui la politica in ultima analisi teme la rete,  ma non disprezza Facebook dove tutto scorre via, nulla è “retrievable” (perchè i post non hanno permalink). Ma su Facebook e dintorni si organizzano proteste (il Popolo Viola, e i giovani della primavera araba lo hanno dimostrato) e anche buone  campagne elettorali, dove si vende in tempi stretti o strettissimi il “prodotto” candidato. Le web agency a cui i politici si affidano, questo sanno fare: campagne di marketing online. Ma se dopo la campagna elettorale si continua a usare lo stesso ambiente per fare partecipazione democratica si compie un errore madornale e non si costruisce  partecipazione e nuova democrazia.

Per farlo occorrono competenze specifiche proprie di una disciplina scientifica la “online deliberation” alla frontiera tra informatica e scienza politica. Disciplina coltivata da una piccola ma abbastanza consolidata comunità scientifica, ben consapevole che progettare ambienti deliberativi online significa progettare la democrazia e la cittadinanza digitale. E che questo richiede concetti e strumenti adeguati,  e anche attenta sperimentazione sul campo.  Non si parte da zero, perché ci sono competenze e esperienze che potrebbero essere utilizzate per affrontare il problema.Questa comunità ha proprio a Milano una sua “base” che ha ampiamente contribuito alla 4° edizione della International Conference on Online Deliberation, tenutasi nel 2010 all’Università di Leeds, dopo le precedenti conferenze svoltesi a Carnegie-Mellon, Stanford e Berkeley.

La mia domanda è dunque se qualcuno tra chi governa la mia città e il mio Paese è interessato a valorizzare questo network di competenze, e fare ogni sforzo – e ce ne vogliono molti, non tanto in denaro quanto in intelligenza – per tradurre <la saggezza della folla>  di cui parla Surowiecki, in civic intelligence e cultura di governo partecipato.

 

(1) segnalo tre esempi di raccolta di proposte dei cittadini intorno alle ultime elezioni ammnistrative: a Milano e Crema durante la campagna elettorale, a Cagliari subito dopo: tutti siti indipendendenti da singoli candidati o dalle amministrazioni.

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6 Responses to “Possiamo colmare l’assenza di discussioni usando la rete?”

  1. Fabrizio Guccione Says:

    Concordo pienamente. Trovo necessario però ragionare sul tema del rapporto tra organizzazioni e cittadini. La complessità spinge (o costringe) ad una semplificazione del rapporto. Ques’aspetto richiederebbe una necessaria interfaccia. La complessità - reale - che spinge ad una percezione di un orizzonte esteso e non raggiungibile dallo sguardo potrebbe essere risolto stabilendo una verticalità di connessione nei processi di decisionali di soluzione.

  2. fiorella Says:

    accidenti Fabrizio, fino al “tema del rapporto tra organizzazioni e cittadini” (forse) ti seguo.
    La mia esperienza diretta è più sul fronte di dar voce ai cittadini; con le organizzazioni (intese soprattutto come associazioni, in genere no profit) abbiamo interagito a lungo, ma dovrei dire piuttosto che abbiamo provato a interagire, perchè si è sempre trattato di un rapporto non semplice. Ha a che fare con la questione di chi sono gli stakeholder (”parolaccia” inglese a cui ciascuno dà un significato diverso), di chi riesce a farsi riconoscere come tale, e della democrazia esistete all’interno di queste organizzazioni che dovrebbero rappresentare i cittadini e/o i loro associati. Giusto? ho capito bene a cosa fai riferimento?
    Ma francamente nell’ultimo periodo ti perdo. Chi “potrebbe essere risolto stabilendo una verticalità di connessione nei processi di decisionali di soluzione.” ? la complessità? e cosa intendi per “verticalità di connessione nei processi di decisionali di soluzione” ?
    – fiorella

  3. antonia Says:

    saluti
    vi lascio alcune considerazioni

    per favrire la partecipazione

    prima di tutto i dibattiti devono essere moderati. Occorre la fgura del moderatore che tiene le fila del discorso e questo significa figure professionali adeguate pagate per fare questo lavoro.

    quando si apre una discussione occorre richiedere a chi vuole prenderne parte di iscriversi (insierire i propri dati ed essere riconoscibile) e può partecipare alla discussione solo chi si iscrive se non dall\\\’inizio, diciamo almeno sin dalle prime battute.

    Una regola per chi si iscrive è che deve obbligatoriamente intervenire nel dibattito.

    Si interviene a turno, e si può intervienire una seconda volta solo quando tutti sono intervenuti la prima.

    il processo decisionale deve avere come premessa che la decisione presa sarà effettivamente applicata non solo \\&quot;presa in considerazione eventualmente\\&quot;

    Si interviene con passaggi brevi. occorre sviluppare altamente la capacità di sintesi. la prolissità va scoraggiata con sistemi automatici che tagliano il messaggio quando supera un tot di parole.

    … non mi viene in mente altro, ma questi punti li ritengo di fondamentale importanza.

    saluti
    antonia

  4. Fabrizio Guccione Says:

    Credo che Antonia aggiunga un elemento di chiarezza al mio abbozzo di ragionamento.

    Il tema del processo decisionale.

    Cercavo di immaginare un modello in cui le decisioni potessero essere trasferite ad un assemblea democratica, aperta e partecipata. Cercavo di immaginare un sistema fondato sulla capacità di cogliere l’insieme e il particolare. Sintesi a livello generale e analisi e confornti sul particolare. La domanda che mi ponevo è come può un cittadino riuscire ad avere una visione di sisntesi significativa? La realtà delle democrazie mostrano sempre che il processo di delega rappresenta il modello dominante.

  5. antonia Says:

    aggiungo altre due considerazioni a seguito della nota di Fabrizio Guccione

    Fino a quando la partecipazione resta una possibilità opzionale non assumerà una funzione decisionale effettiva.
    Occorre che siano predisposte delle strutture ad hoc da parte delle Amministrazioni e che il cittadino abbia il diritto/dovere di partecipare così come attualmente ha il diritto/dovere di votare.

    La sintesi, intesa come pensiero politico non è il tipo di meccanismo che entra in funzione nei sistemi partecipati.
    In questo tipo di processi la cosa importante è la capacità di analisi delle situzioni e la capacità di ragionamento su molteplici punti di vista con un approccio senza preconcetti (siano essi pregiudizi o cognizioni di causa).

    L’incremento di sviluppo dei processi dcisionali partecipati permetterà nel tempo di costruire una socità che come insieme avrà una vasta capacità di sintesi intesa come conoscenza approfondita delle problematiche. Sarà cioè diventata una rete consapevole.

    saluti
    antonia

  6. Maria Grazia Boffi Says:

    Le regole fissate da Antonia mi sembrano molto coercitive. Il moderatore pagato poi è una figura che non offre trasparenza: pagato da chi? In ogni caso secondo me che mi sono occupata di comunicazione per anni e anni, il problema è avere TUTTE le informazioni che servono per mettere a punto un giudizio, una proposta, una soluzione. Questo di solito non avviene ed è un errore. Poi, sempre a mio parere,è giusto dar voce a tutti i cittadini che hanno qualcosa da dire, qualcosa di significativo, non generico, non autoreferenziale. Altrimenti il processo decisionale partecipato diventa una riunione condominiale, con tutte le negatività che conosciamo.

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